Emergenza Educativa: Ciò che la ‘Pedagogista’ definisce ‘Il Tempo della Vaghezza’

Dall’inizio della pandemia, ho raccolto molte testimonianze, articoli documentati, fonti autorevoli, con le quali ho avuto modo di interloquire, personalmente, su varie situazioni che ruotano attorno alla salute mentale e fisica di bambini e adolescenti. A questo mio lavoro, si è aggiunta una vasta osservazione dedicata a gravidanza, parto e salute dei neonati. L’incertezza e la vaghezza hanno smarrito anche le future mamme, le neo mamme e, di conseguenza, anche i propri piccoli che, come spugna candida e immacolata, hanno assorbito, in qualche modo, ogni pensiero, alterato e impaurito le proprie madri. Ne è scaturita quella che a me piace definire “The time of Vagueness” (il tempo della Vaghezza). L’emergenza Covid ha cambiato profondamente le abitudini delle famiglie e della loro prole. Tra le consuetudini più evidenti, notiamo l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno, disturbo d’ansia, disturbi di apprendimento e disturbi generici del neurosviluppo. Il tempo – che io definisco della ‘vaghezza’ – mi fa pensare a un tempo ormai esteso, dilatato, lento, imprevedibile con routine che si sovvertono, mutano e si sconvolgono; scarsi rapporti sociali, aiuti residui in un tempo in cui, allo stato attuale, e dopo più di un anno di emergenza sanitaria, restare a casa isolati comincia a diventare, davvero, molto difficile.

Ho avuto modo di osservare comportamenti e atteggiamenti discrepanti, sperequati e distanti durante l’arco della giornata e durante le mie ore di lavoro. Ho guardato con molta attenzione vari bambini e ho compreso che i loro ‘nuovi’ frequenti momenti di iper-eccitazione oppure disorientamento, mostrano le loro affannose agitazioni interiori provocate da bramosia e incertezza. Le nuove preoccupazioni persistenti esprimono difficoltà a fermarsi sulle cose più semplici, come evidenti ritorni, problemi alla lettura semplificata che avevamo già risolto e risollevato da un pezzo. I miei occhi, dietro attento supporto Pedagogico, hanno avuto modo di osservare che i più piccoli sono molto più reattivi alle piccole frustrazioni che, spesso, mascherano dietro un velo di apatia, indifferenza e oscillazioni dell’umore. Le paure e le nuove incertezze come la tristezza, l’angoscia, la paura possono manifestarsi anche in modo drammatico con diversi comportamenti problema quali urla, scoppi di rabbia, manifestazioni aggressive verso oggetti, persone o anche su se stessi. Un’altra preoccupazione quale ho avuto modo di notare ed esaminare con attenzione sono le comparse di stereotipie, consuetudini stranizzate o tic, anche in bambini normo-dotati.

Senza ombra di dubbio, ai nostri bimbi e ai nostri ragazzi sono stati chiesti sforzi enormi in questi lunghi mesi che hanno messo (e stanno mettendo, ancora oggi) a dura prova la propria individualità e indipendenza. Comprensibile notare che la perdita della socialità, della spensieratezza del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza ha deturpato il proprio spirito e il proprio ‘io’ razionale. La creatività e la fantasia, aspetti essenziali, fin dai primi anni di vita, per il proprio benessere fisico e mentale, sono per molti, spariti. Un altro principale problema del “Time of vagueness” è la ripetuta e continua chiusura delle scuole che sta mettendo a ‘sorte’ la salute mentale dei bambini, una penosa insidia connessa a tali circostanze che sta implicando una serie di perdite potenziali. Rischi di crolli nervosi sia da parte delle famiglie che dei bambini, ebbene sì, devo dire e ammettere che questi crolli sono molto più accentuati rispetto un anno fa. Perché? La ragione è semplice: se la didattica a distanza può essere stata (e lo è ancora), indubbiamente, una risorsa in quanto riesce a ‘formare’ anche in distanze da oltreoceano, dall’altro canto non la vediamo più come una vera e propria cespite. Forse, all’interno di un piccolo dettaglio temporale è, sicuramente, un mezzo a trovata d’arte, ma adesso ci troviamo in una realtà dove viviamo di discontinuità didattica ed educativa, dove i bambini a volte sono costretti davanti a dei PC e a volte, finalmente, tra i banchi di scuola a formarsi e socializzare.

Insomma, una incostanza, intermittenza e volubilità, che mette a dura propria anche la pazienza e la resilienza più forte. Per non parlare delle tante lotte Pedagogiche ed educative contro l’utilizzo smisurato di tablet, PC, dispositivi mobili, vari convegni strutturati per trovare il modo di allontanare i più piccoli dallo schermo e da tutto ciò che di irreale spesso c’è dietro… Ho notato, a mia vista, che, alle spalle della DAD, la cultura ha un pessimo stato di conservazione, la didattica è alterata e parzialmente danneggiata, e il rendimento disciolto, disgregato e dissipato. Voglio ricordare a me stessa che l’edificazione educativa e formativa, e, dunque, tutti i processi di apprendimento avvengono, soprattutto, nell’ambiente giusto. In classe, l’insegnamento è funzionale al 100%, il discente trova la sua identità all’interno della società scolastica in un contesto dinamico e complesso. La formazione istituzionale all’interno della scuola non lascia spazio a interpretazioni, la finalità del sistema è osservabile e tangibile.

La mia osservazione volge su un punto di riflessione molto pesante, ma consapevole, ovvero, non vorrei mai che tutto ciò diventi una nuova normalizzazione del limite alla nostra società e, dunque, introiettare l’idea che l’esistenza di vita dei più piccoli e dei più giovani debba subire limitazioni fisiche, le quali, a loro volta, possono tradursi in insensibilità ai problemi della vita sociale, inettitudine alla convivenza, misantropia e, dunque, disprezzo o mancanza di fiducia nei confronti del genere umano. Cosa fare, allo stato attuale, per soccorrere e risollevare questo lungo problema educativo e sociale radicato in questo spazio temporale? Accendiamo i riflettori su tutta la ‘quaestio’. Dobbiamo potenziare le soluzioni e mettere in evidenza il dramma. Auspichiamo la condivisione sociale (ma non quella a distanza), facciamolo con tutte le dovute precauzioni che, ormai, conosciamo, ma facciamolo! Ricordiamo che viviamo ancora in un delicato periodo di passaggio, ma abbiamo, oggi, delle armi a nostro favore come protocolli sanitari e vaccini. Proseguiamo con tutte le cautele, le attenzioni, i riguardi e la prudenza. Occorre, oggi più che mai, recepire la consapevolezza che dobbiamo difendere e salvaguardare la nostra ‘pelle’ e quella degli altri, soprattutto dietro nostri comportamenti. Ma a questo voglio aggiungere: RINNOVIAMO LA SPERANZA!

Non possiamo più pensare di vivere nell’incertezza. La fiducia alla vita, gli avvenimenti, le attese fiduciose e costruttive, le belle prospettive appartengono a delle leve interiori che spingono il nostro essere ad andare avanti, per andare incontro a situazioni che noi vogliamo si verifichino. Urge tornare alla vita sociale affrontando se stessi, quotidianamente, uscire e respirare il mondo esterno per demonizzare la noia. Occorre tornare, immediatamente, al confronto con la società, con i pari (soprattutto, per i più piccoli), ritrovare le risorse individuali, riscoprire le attese, i sogni, le nuove possibilità, le nuove promesse, acquisire fiducia nel prossimo. Tornare alla vita, ma quella reale, riprendere la consapevolezza della valenza personale, reinserirsi nell’ambito sociale e lavorativo, tornare ai nostri diritti umani e della vita civile, dietro anche possibile rieducazione funzionale, riattivare tutti i giusti percorsi educativi atti a ritrovare i propri equilibri. Riscopriamo la natura e la bellezza in ogni sua forma, guardiamo oltre l’orizzonte e alimentiamo gli eventi graditi e favorevoli. Torniamo ad amare noi stessi e ‘l’altro’, torniamo a dare fiducia, proiettiamo i nostri progetti al futuro come garanzia di ritrovare un mondo migliore e più pulito.

Dott.ssa Claudia Lo Cascio, pedagogista

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