Eugenio Corti: La scrittura come Missione

Nato nel 1921, a Besana Brianza, dove è morto nel febbraio del 2014, Eugenio Corti – uno degli ‘immensi’ scrittori contemporanei – inizia la sua missione di scrittore, dopo la ‘folgorazione’ durante la ritirata di Russia che gli diede ‘l’input’ di scrivere ciò che aveva visto e vissuto. Era la notte di Natale del 1942, lui giovane ventunenne, trovandosi immerso nell’inferno di ghiaccio, di fuoco e di morte, invocò la Madonna per farlo tornare a casa da sua madre, promettendo che avrebbe speso tutta la sua vita al servizio dell’invocazione del Padre nostro: “Venga il tuo Regno”. E mantenne la promessa. L’esperienza terribile della ‘Ritirata’ segnò per lui una svolta, fu una ‘folgorazione’ che gli rivelò quale sarebbe stato il suo compito, la sua vera missione, e fu una vocazione, una chiamata. La sua esistenza è stata, davvero, un compito, la sua vocazione non gli lasciava scampo. Nelle battute conclusive, difatti, della sua opera, Gli ultimi soldati del re, delinea la situazione politica e sociale del Dopoguerra che impone di continuare a combattere con la penna, con le idee. In quel momento, afferma lo scrittore, “avvertì lo Spirito in me e compresi che non avevo scampo, dovevo combattere, non potevo esimermi dalla battaglia di civiltà. Tempra battagliera, animato da una granitica Fede, vedeva tutto ‘sub species aeternitatis’”; il suo sguardo trasparente era sempre ‘sgranato sull’Eterno’.

Viveva ogni giorno come fosse l’ultimo, fedele alla sua vocazione, combattendo la buona battaglia con la penna. Insegnò a contemplare ogni istante nella prospettiva dell’Eterno. A una ragazzina che gli chiese se fosse emozionato all’idea che qualcuno lo avesse proposto per l’assegnazione del Premio Nobel, rispose: “Tra poco dovrò sostenere l’esame più importante della mia vita, davanti a Domineddio… Ti pare che mi preoccupi di una cosa del genere?”. In lui, vi era coerenza tra vita e letteratura, difatti, affermava che ciò che si scrive deve riflettere ciò che si vive. La sua esistenza è stata, davvero, un compito. Finché si è al mondo, lui diceva, bisogna assolvere al proprio compito con le parole e con la vita. Ha cercato di costruire sulla terra, “il già e non ancora”, cioè il Regno di Dio fatto di amore, di giustizia e di pace. Aveva la stoffa del narratore che trova la più compiuta espressione nel romanzo capolavoro Il cavallo rosso, che è un affresco della vita italiana e del mondo dal 1940 al 1974.

di Alfonso Saya

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