Il Covid-19 fa rinascere il drive-in

Vehicles are parked as people watch a movie at a new drive-in cinema on a field in the countryside near Marl, Germany, as regular theaters are closed due to the coronavirus outbreak on Monday, April 6 2020. (AP Photo/Martin Meissner)

Il settore dello spettacolo non naviga in acque tranquille. I lavoratori dello spettacolo continuano a denunciare una situazione che, col passare del tempo, è diventata insostenibile. Un comunicato di ‘Attrici Attori Uniti’ informa che “Ad oggi, le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo hanno ricevuto soltanto il bonus di € 600 per il mese di marzo”, previsto dal decreto Cura Italia, sottolineando ancora “nessuno di noi ha ancora visto i bonus di aprile e maggio e non ci è dato sapere se da giugno potremo continuare a usufruire di questo piccolissimo aiuto o no”. La situazione, a dir poco drammatica, che si è determinata a causa della pandemia del Coronavirus, tuttavia, sta trovando una valvola di sfogo, boccate di ossigeno e nuova popolarità nel cinema-teatro drive-in di cui si ipotizza l’allestimento anche nella nostra Città. Un modo di godere il cinema di moda anni fa e nuovo, oggi, per molti. Un modo di godere di un sano divertimento, assistere a proiezioni e anche letture, spettacoli teatrali e concerti all’aperto, tranquillamente seduti a bordo della propria auto, senza correre alcun rischio di contagio, in luoghi aperti, come piazze, parcheggi e spazi verdi che regalano quiete e consentono il distanziamento fisico previsto dai decreti.

In quegli spazi, qualcuno ipotizza, persino, di festeggiare matrimoni. Il primo drive-in venne aperto nel 1933 nel New Jersey, USA. In Germania, questa stessa ‘prima cinematografica’ ebbe luogo nel 1960 – quindi, 60 anni fa – a Gravenbruch, vicino a Francoforte sul Meno, una zona nella quale, in quegli anni, erano di stanza molti soldati americani. In tutto il mondo, i drive-in vissero il periodo di massimo splendore negli anni Cinquanta e Sessanta. Ci sono, comunque, soluzioni e adeguamenti che, oggi, si rendono necessari. Ne citiamo alcuni per opportuna conoscenza considerato che stanno diventando una realtà: La soluzione più comune è un parcheggio trasformato in un drive-in, in questo caso snack e bevande si portano da casa; nei drive-in stabili, i veicoli devono essere parcheggiati in modo sfalsato per una visione perfetta, mentre un ‘diner’ assicura il catering nel giusto stile. Naturalmente, vanno per la maggiore pop-corn e bibite analcoliche. Gli applausi verrebbero garantiti dal suono del clacson o da uno smartphone munito di una app speciale, tanto per non disturbare la quiete pubblica. Se lo schermo è grande il proiettore deve essere molto potente; l’audio deve essere trasmesso direttamente nei veicoli, perché utilizzando altoparlanti esterni sarebbe necessario un enorme volume. Gli odierni cinema drive-in trasmettono l’audio ai sound-system dei veicoli attraverso frequenze FM. È sufficiente sintonizzare l’autoradio, ad esempio, su 89,0 MHz e l’ascolto è assicurato.

Una volta per un ascolto individuale, attraverso il finestrino veniva fatto passare un altoparlante mono (con relativo cavo), che poteva essere appeso sul lato interno del cristallo o posizionato all’interno dell’abitacolo. L’altoparlante ‘Klangfilm’ è stato prodotto da una società affiliata di Siemens, fondata alla fine degli anni Venti e specializzata in tecnologia del suono per il cinema. Il ‘Klangfilm’ è integrato in un robusto alloggiamento in getto metallico. Il volume poteva essere regolato a piacere tramite una manopola. Negli anni ’50, la motorizzazione di massa, la libertà assicurata dalla mobilità individuale, il confort del proprio veicolo, lo spazio privato e l’intimità goduta, soprattutto dalle coppie con separé che, talvolta, portavano da casa, assicurarono al drive-in un enorme successo. Soprattutto, si aprì un capitolo importante per la cultura automobilistica. Oggi, il drive-in rappresenta una risorsa preziosa, un periodo d’oro, per vivificare lo spettacolo nelle sue svariate forme, una risorsa a cui attingere per sanare ferite non solo dell’economia, ma anche della cultura e dello spirito.

di Sergio Lanfranchi