La risposta della Chiesa sulla proposta del Governo maltese sull’eutanasia volontaria assistita

La società maltese ha avviato un dibattito sull’eutanasia volontaria assistita e su come rispettare la dignità e l’autonomia di una persona in caso di malattia terminale. È stato pubblicato un documento che delinea i principi e le garanzie che fungeranno da base per questa consultazione pubblica, in cui le opinioni di tutti, comprese quelle delle parti interessate e degli esperti, sono importanti. In questo ampio e delicatissimo dibattito, anche la chiesa maltese ha espresso i suoi pensieri su questa cosa importante. Infatti, la risposta della chiesa, ben studiata, sottolinea il rispetto che ella ha per la vita e anche la massima responsabbiltà che porta sulle sue spalle di formare le coscienze di chi veramente vuole dialogare al punto di cambiare, se è necessario e giusto, le sue posizioni di pensiero. La lettera pastorale, firmata dall’arcivescovo di Malta, mons. Charles J. Scicluna, il vescovo ausiliare di Malta, mons. Joe Galea-Curmi, e il vescovo di Gozo, mons. Anton Teuma, ha messo in evidenza varie argomenti interessanti su questa materia così attuale. Essa ci dice che “nel nostro Paese è attualmente in corso una consultazione pubblica sulla cosiddetta ‘eutanasia volontaria assistita’. Nel libro bianco pubblicato dal Governo, si propone che una persona che abbia compiuto 18 anni e soffra di una malattia terminale, a cui i medici diano sei mesi o meno di vita, possa togliersi la vita con l’assistenza di personale medico in ospedale o a domicilio”.

Questa lettera pastorale ci sta dando tante aiuti importanti per formare una coscienza retta, libera e responsabile. Il primo aiuto è che essa ci dice che ogni vita è preziosa. Infatti, la lettera pastorale avverte che “nessuno dovrebbe sentirsi inutile”. Questa significa che “chi pensa di porre fine alla propria vita non dovrebbe chiedere aiuto allo Stato per suicidarsi, ma per vivere con dignità, circondato dall’amore e la cura. Non dimentichiamo il comandamento di Dio ‘non uccidere’, che è un principio scolpito nei nostri cuori e nel cuore della nostra società, e ci guiderà sempre nella nostra vita. Quindi, non rendiamoci complici di un omicidio. Per la grazia di Dio, ‘molti medici riconoscono la responsabilità di mantenere fedelmente la promessa fatta di salvare vite umane, non di contribuire a ucciderle’”. Il secondo aiuto parla sulla “migliore assistenza possibile” per salvaguardare la vita di che soffre. Ciò che la Chiesa, attraverso i vescovi, propone è di “rafforzare, con tutti gli investimenti necessari, le cure palliative per tutti coloro che ne hanno bisogno – sottolineiamo, per tutti – affinché possiamo avere la migliore assistenza possibile fino agli ultimi istanti di vita”. Ciò significa che non si tratta solo di dire no “alla possibilità del suicidio assistito, ma di dire sì con i fatti a un’assistenza olistica che riduca notevolmente la sofferenza. Non sono solo le cure mediche ad alleviare il dolore, ma anche il sostegno psicologico, sociale e spirituale. È una forma autentica di compassione”.

Come dice il nostro amato papa Francesco: “Le cure palliative, mentre cercano di alleviare il più possibile il peso del dolore, sono soprattutto un segno concreto di vicinanza e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle che soffrono. Allo stesso tempo, questa forma di cura può aiutare i pazienti e i loro cari ad accettare la vulnerabilità, la fragilità e i limiti che segnano la vita umana su questa terra”. Investiamo “nell’uso di farmaci per alleviare le sofferenze delle persone in situazioni critiche, che vengano somministrati non con l’intenzione di causare la morte, ma per alleviare il dolore, anche se di conseguenza la durata della vita si accorcia. Il paziente ha il diritto di rifiutare trattamenti medici straordinari e di non accettare trattamenti sproporzionati che causano sofferenze insopportabili e non offrono speranza. Questo diritto non dovrebbe mai essere soppresso”. Nelle parole di papa Francesco in questa Lettera Pastorale, l’eutanasia “è un fallimento dell’amore, specchio di una ‘cultura dello scarto’”. Non è compassione, perché la vera compassione “significa ‘soffrire con’”, e “non implica la fine intenzionale della vita” come fa l’eutanasia. Mostriamo la nostra vicinanza, il nostro sostegno e la nostra compassione attraverso “l’empatia, la vicinanza, un grande affetto, il sostegno e le necessarie cure palliative. Accompagniamo con amore chi soffre, senza mai abbandonarlo, e diamogli tutto l’aiuto di cui ha bisogno nella difficile situazione in cui si trova”. SÌ alla vita e NO al suicidio assistito.

di Fra Mario Attard