Messina – Il tempio di Grotte. La bella favola di Artemide

Accadde un dì che Orione, mentre andava a caccia con il fedele cane Sino, incontrò la bella Artemide, circondata dalle sue ninfe. La dea era allegra quel giorno e assieme alle sue compagne andava per i campi raccogliendo fiori e cantando. Essendo un’abile cacciatrice aveva con sé l’arco e le frecce e, così, di tanto in tanto si divertiva a colpire anatre in volo o veloci lepri e conigli selvatici che allora abbondavano nelle lussureggianti campagne. Orione la incontrò sul suo stesso sentiero, ma essendo superbo e orgoglioso non volle cederle il passo, né la salutò, anzi, non si curò affatto di lei e passò oltre senza degnarla di una sola occhiata. La sua azione suscitò disappunto nella vergine cacciatrice, ma la dea, colpita e conquistata dalla sua personalità, se ne innamorò. Lo fece suo amante e lo nominò custode di un suo tempio che sorgeva in Zancle, lungo la riviera Paradiso. Legata alla tradizione leggendaria è anche interessante la storia di questa chiesa che oggi sorge nel villaggio Pace, sulla strada che conduce ai laghi di Ganzirri, nella soluzione architettonica progettata nel 1924 dall’ing. G. Viola. Dicono le nostre storie, avvalendosi di scritti di credibili scrittori nostrani, che in questo luogo – ai tempi dei fatti che narriamo – sorgeva un antico tempio dedicato alla vergine cacciatrice, Artemide, conosciuta anche col nome di Diana. Era un tempio a forma circolare, con degli archi esterni che ne delimitavano il pronao e, probabilmente, fornito anche di una statua della dea. Stando sempre alla tradizione, quando Artemide s’innamorò di Orione, in segno di gratitudine e di amore lo nominò custode del tempio, impegno che il mitico gigante condusse con zelo divulgandone, maggiormente, il suo culto.

Ora, avvenne che i cacciatori del luogo – non sappiamo se vivente ancora Orione o dopo la sua morte – presero l’abitudine ogni giorno, nelle ore antilucane, cioè prima di andare a caccia e poi sul far della sera, al ritorno da essa, di recarsi nel tempio ed invocare dalla dea Diana la sua protezione, affinché potessero fare una buona raccolta di selvaggina nelle campagne peloritane. La dea esaudì sempre le loro preghiere e la sera i cacciatori, ritornando con i cestini pieni, ripassavano sempre dal tempio e sul suo altare deponevano una parte della selvaggina catturata. Il dono più importante, forse più gradito dalla dea, era la lepre che in Zancle era stata, evidentemente, introdotta non come dicono gli storici da Anassila ai tempi della sua occupazione di Messene (Messana), ma dallo stesso Orione, così come del resto è riprodotto in un bel quadro a colori di Letterio Subba (1787-1868), oggi nel Museo Regionale di Messina.

L’esistenza di questo tempio, che con l’avvento del Cristianesimo fu dedicato alla Madonna, è documentata sino al 1622 quando, diventato fatiscente, su incarico del Senato di Messina fu ricostruita di sana pianta (ma, probabilmente, in tutto o in parte l’iniziale architettura), su progetto di Simone Gullì, sopravvisse sino al 1908 quando il grande terremoto che distrusse Messina lo ridusse ad un mucchio di macerie. Nel 1924, nel corso della ricostruzione della città, la Chiesa fu, nuovamente, eretta da G. Viola ed oggi, non più meta dei cacciatori (a Messina, ve ne sono molti che come loro protettore hanno scelto Sant’Uberto), in essa è praticato il culto per la Madonna delle Grazie, mentre il luogo dove sorge, comunemente, è inteso come Le Grotte o Chiesa di Santa Maria delle Grotte, toponimo errato, perché in quel punto di “grotte” non ce ne sono e se solo una ce n’era, questa esisteva solo al tempo del tempio di Diana.

di Armando Russo

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