I due amori dello scienziato Enrico Medi

Lo scienziato Enrico Medi diceva: “Sono un ignorante, leggo pochi libri, ma ne ho due che mi piacciono, infinitamente, uno si chiama ‘Antico e Nuovo Testamento’, l’altro si chiama Divina Commedia’”. In questi due libri, si trova la chiave per risolvere i problemi dell’umanità che sono di natura etica, poiché alla base di ogni decadenza politica c’è una decadenza morale. “Dante – diceva ancora – era ispirato e chissà perché non è stato proclamato santo, forse perché se l’era presa con qualche papa. Dante ci dà il senso che oggi, purtroppo, si è perduto, nella ‘selva oscura’, in cui ci troviamo smarriti, nell’aridità interiore, nell’insicurezza e nella precarietà del nostro vivere. Dante ci sollecita ed è, quindi, di bruciante attualità e ci indica la via francescana del Bene e della Pace che risiedono in Dio: ‘Luce intellettuale piena d’Amore, amor di vero ben, pien di letizia che trascende ogni dolore’”.

La Luce – spiega Enrico Medi – che illumina l’intelletto e lo inonda è la Luce di Dio; è la Luce dello Spirito Santo che è piena d’Amore. Senza Amore non c’è letizia, non c’è gioia. L’Amore è la sorgente della vita. La gioia non è qualcosa di esterno come l’allegria, la ricchezza, il progresso, il successo. Oggi, si parla tanto di amore, di fraternità, di socialità, di solidarietà. Ma dov’è questo amore? Oggi, manca l’amore, l’abbiamo perduto, disciolto, sporcato, insozzato, maledetto! Oggi, manca la pace del cuore, non c’è serenità, non c’è gioia. La maggior parte delle persone che vediamo ridere e scherzare, hanno tanta tristezza dentro. Il mondo è sconvolto, tutto va a rotoli! I giovani sono disorientati, sono smarriti, non hanno punti di riferimento, non c’è un Don Bosco che dia loro ‘lavoro, pane e Paradiso’ e si rifugiano nella droga e nella disperazione. Questa è la ricetta che Dante dà all’umanità: “Avete il Novo e il Vecchio Testamento e il Pastor/ della Chiesa che vi guida:/ questo vi basti a vostro salvamento. / Se mala cupidigia altro vi guida,/ uomini siate e non pecore matte’”.

di Alfonso Saya

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