La città di Catania si ferma per rendere omaggio alla sua patrona sant’Agata

Nei giorni 3, 4 e 5 febbraio, la città di Catania si è fermata per rendere omaggio alla sua patrona sant’Agata. Proprio per la notevole affluenza di gente, è stata classificata come la terza festa religiosa più partecipata a livello mondiale e inserita nel Reis, il registro delle eredità immateriali, per il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unesco. Il culto della Vergine catanese è diffuso in tutto il mondo: dal Canada a Sainte Agathe des Monts; in Brasile a Città di Pesqueira; in Spagna; in Belgio a Berchem-Sainte-Agathe; in Francia in Savoia e in Provenza, nell’Isola de La Rèunion; a Malta, a San Marino, Germania, Paesi Bassi e in altre ancora. Ma è nella Città etnea che sono accorsi a migliaia, per poter assistere alle celebrazioni che costituuiscono un amalgama tra componenti religiose e folcloristiche in un mix di storia, fede e tradizione. Agata (dal greco Agathé: buona, virtuosa), nacque a Catania intorno al 235 d.c., da Rao e Apolla, in una nobile e ricca famiglia che educò la figlia alla religione cristiana. Consacratasi totalmente a Dio, ricevette da parte del vescovo, durante la cerimonia della velatio, l’apposizione del flammeum, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate. È, infatti, col velo rosso che viene raffigurata nel mosaico del VI secolo di sant’Apollinare Nuovo in Ravenna.

Vittima del pagano proconsole Quinziano, uomo crudele, che, colpito dalla sua avvenenza, tentò di conquistarla. Ma di fronte ai suoi rifiuti, la seviziò facendole strappare le mammelle; dopodiché, la condannò a essere bruciata viva sui carboni ardenti, mentre un violento terremoto sconvolgeva la Città, per cui la folla spaventata ne chiese la sospensione. Ancora agonizzante, Agata fu riportata nella sua cella, dove morì dopo qualche ora. Correva l’anno 251. Ecco perché, la Santuzza, viene rappresentata sempre con una palma e con un piatto in mano, contenente i seni e le tenaglie. E, da qui, derivano anche i caratteristici e gustosi dolci siciliani di forma rotonda, glassati con una ciliegia candita sulla sommità, chiamati, appunto, le minne di sant’Agata. La tradizione popolare racconta ancora che mentre il fuoco bruciava le sue carni, il velo che lei indossava restava, invece, intatto, diventando subito una delle reliquie più preziose. Infatti, viene portato in processione, di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo il potere di fermarla. Nel tempo, la Santuzza è diventata anche protettrice dei pompieri e invocata in occasione di incendi, terremoti, disastri naturali. Viene implorata anche da donne con il tumore al seno, panettieri, gioiellieri e fonditori di campane. Giorno 4, quindi, dalle prime luci dell’alba, migliaia di devoti si sono avviati verso la cattedrale, indossando u saccu, (una sorta di saio bianco) fermato alla vita da un cordone e guanti dello stesso colore e una papalina nera in testa. In mano, stringono un fazzoletto bianco che viene sventolato al grido: “Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti, sì, sì”.

Durante la processione, reliquie e busto vengono poste sul Fercolo foderato anch’esso d’argento e poi trascinato da centinaia di devoti che si alternano ai due cordoni lunghi un centinaio di metri. La processione viene anticipata da 13 candelore o cannalori di legno, riccamente scolpito e dorato, di diverso stile: dal barocco siciliano al gotico o al rococò. Rappresentano le corporazioni artigiane dei lavoratori locali dai pisciari (pescatori), ai chiancheri (i macellai). Sono gli uomini delle stesse corporazioni – da quattro a dodici, secondo il peso – che si alternano nel portarle a spalla con un’andatura dondolante, chiamata dai catanesi a’nnacata. Il corteo si snoderà, quindi, ininterrottamente per due giorni, concludendosi con il rientro in cattedrale, nella tarda mattinata di giorno sei. Altro aspetto devozionale e folcloristico che incuriosisce i turisti, sono gli enormi ceri accesi che i devoti al seguito del corteo trasportano sulle spalle, lunghi più di mezzo metro e pesanti anche oltre settanta chili, pari cioè al peso corporeo della persona che ha ricevuto la grazia. Naturalmente, la cera che si va sciogliendo sui lastroni di lava delle strade fa rischiare pericolosi scivoloni. Ma la Civita non si limita a festeggiare la sua Patrona, solo in questi tre giorni, numerose sono le cerimonie e il programma che apre le celebrazioni, già iniziate il 2 gennaio, con la presentazione in arcivescovato, delle associazioni agatine, degli ordini cavallereschi, i rappresentanti delle candelore e le massime autorità civili ed ecclesiastiche, quali il sindaco, Enrico Trantino, l’arcivescovo metropolita, Luigi Renna, con il presidente del Comitato Organizzatore, Carmelo Grasso.

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