Poter prevedere un terremoto, oggi è, ancora, impossibile, si possono, però, elaborare mappe di probabilità, “Probabilità” è la parola chiave per gli esperti che lavorano in questo campo. “Esistono diverse mappe della probabilità dei terremoti a cinque o a dieci anni” – osserva il sismologo Warner Marzocchi, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e membro della collaborazione internazionale CESP (Collaboratory for the Study of Earthquake Predictability), una sorta di organismo supervisore delle ricerche condotte in tutto il mondo sul problema della previsione. “Usare il termine previsione non significa riferirsi alla possibilità, calcolata al 100%, che un terremoto accada in un dato luogo in un tempo determinato” – spiega Marzocchi.
Una strategia, ad esempio, consiste nell’analizzare i cluster, ossia le sequenze di terremoti ravvicinate nel tempo e nello spazio. Terremoti vicini, spiega Marzocchi, nel senso che possono essere separati da un intervallo di poche ore (come nel caso del terremoto di Colfiorito, del 1997 o del Belice, nel 1968), oppure, da un intervallo di mesi (come nel 1976, in Friuli), o addirittura, di anni. “Anche, in quest’ultimo caso, si tratta di intervalli brevi su una scala geologica”.
La probabilità che si verifichi, o meno, un terremoto diventa strumento operativo quando si traduce nelle mappe della pericolosità. “La pericolosità indica la probabilità che avvenga uno scuotimento” – spiega il sismologo, Alessandro Amato. Una cosa ben diversa è la mappa del rischio, questa, conclude Amato, “indica il prodotto della probabilità di uno scuotimento e della vulnerabilità degli edifici, nel nostro paese; il problema, infatti, sta nella vulnerabilità degli edifici”.