Calciatori professionisti a rischio di demenza rispetto al resto della popolazione

Se la frequenza di malattie non neurologiche è più bassa rispetto al resto della popolazione, per i calciatori professionisti è, invece, maggiore la mortalità per malattie neurodegenerative e il rischio di demenza. Lo rileva uno studio condotto su oltre settemila ex-calciatori professionisti scozzesi, pubblicato sul New England Journal of medicine. Come nel caso di Stefano Borgonovo, il calciatore italiano morto a causa della Sla, una malattia neurodegenerativa. Il rischio deriverebbe non dai colpi forti presi alla testa, ma dal conto totale degli impatti accumulati nella carriera. Nello studio, i ricercatori coordinati da Daniel F. Mackay, dell’Università di Boston, hanno confrontato gli ex-calciatori con la popolazione generale sulle cause di mortalità e l’uso di farmaci anti-demenza. Il dato di una minore mortalità da cause non neurologiche conferma, quindi, i benefici dello sport nella prevenzione delle altre malattie come quelle cardiovascolari e metaboliche.

Circa, invece, la mortalità da malattie neurodegenerative, il rischio deriverebbe per i calciatori professionisti, così come riscontrato anche nei giocatori di football americano in un altro studio dai Centers for diseases control, dall’esposizione a ripetuti colpi in testa. Un giocatore colpisce la palla con la testa in media 6-12 volte a partita (ma in allenamento molto di più), il che significa migliaia di volte nell’arco della carriera. Ad influire, non sarebbero però i colpi forti, ma il ‘conto’ totale dei ripetuti impatti ricevuti alla testa, compresi quelli che non danno sintomi. I ricercatori ci tengono, comunque, a chiarire che non è possibile generalizzare questi risultati osservati nei calciatori professionisti con chi pratica questo sport a livello amatoriale o universitario, e rimarcano l’importanza e i benefici di sport ed esercizio fisico per la salute.

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