Messina, una città incompiuta

Nel 1911, Borzì, l’autore del piano regolatore della città di Messina, dopo il terremoto del 1908, ha paragonato Messina, con una bellissima metafora, a un albero dalla ricca chioma che se il cieco destino la sfrondò, più volte, non è riuscito, però, ad abbattere il tetto. Allude il Borzì, al popolo che “è parte di quello di ieri, attorno al porto che è stato sempre quello del passato, nella plaga, ove un tempo, fiorì dovizia di gloria, di arte e di commercio, ha, ineluttabilmente, segnato un compito capace di soverchiare il suddetto cieco destino”. Questa la motivazione che è stata da alcuni considerata enfatica e retorica della ricostruzione della città, poiché non ha avuto, purtroppo – ma questo non è da imputare al Borzì –, un seguito coerente all’assunto del ruolo della città, collegato al Porto e alla nodalità dei luoghi. Ma la pianificazione progettuale del Borzì si può considerare positiva, è definita, difatti, ‘dionisiaca’.

Esaurita questa fase, è arrivata ‘l’allegra baraonda’, al dire dello storico Pietro Longo, che ha straziato ‘la dolce sirena’, cioè ha massacrato e cementificato la nostra città. Tutte le amministrazioni che si sono succedute non hanno fermato la speculazione edilizia e non c’è stato un piano regolatore. Il sacco edilizio continua imperturbabile! Quante speranze avevano accompagnato la fase della ripresa che, purtroppo, si sono esaurite nella retorica e nelle enunciazioni elettorali. Il Borgese, inviato speciale della Stampa, scriveva, l’anno successivo al terremoto, profetizzando una città ideale: “Quale migliore occasione di un terremoto per fabbricare una città ideale? Bisognerà rifabbricare Messina con piccole case a un piano, isolate con una striscia di giardino, qualche cosa come i villini inglesi o come le gaie casupole della vecchia Germania. Voi la vedete già questa singolare città futura che avrà tutta la pompa del paesaggio mediterraneo e tutta la dolce familiarità dei paesi nordici”. La città reale, purtroppo, non corrisponde alla città ideale vaticinata dal Borgese. È una città, la nostra, invivibile, degradata e disincantata, una città incompiuta.

di Alfonso Saya

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