Fase 2: 6 Aziende agricole su 10 a rischio a causa della crisi finanziaria

Archiviata la Fase uno, l’Italia si sta adoperando per dare vita a un nuovo percorso – denominato Fase 2 – e lo fa con molta prudenza e circospezione per evitare nuove e più disastrose ricadute. Abbiamo contato troppi morti in questi terribili sessanta giorni per rischiare ancora. Il bilancio della Fase uno si chiude. Sono diminuiti i positivi e i morti, e questo è un dato che ci conforta e rende fiducia, ma sono diminuite anche tutte le attività commerciali, soprattutto quelle del settore agroalimentare dove si registra il crollo dell’attività di sei aziende su dieci. Sull’argomento, lancia l’allarme la Confcommercio. A rischio 45.000 strutture che vanno dal commercio ambulante alla ristorazione. La difficoltà di esportazione dei nostri prodotti alimentari, dalla carne, pesce, frutta, formaggi, vino, birra e tanti altri ancora, nei Paesi stranieri non lasciano tranquilli quanti traggono da quel commercio il loro sostentamento. A rischio sono 3,6 milioni di lavoratori, una filiera che vale 538 miliardi di euro, 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari e moltissimi punti vendita, compresi supermercati, discount, ipermercati, altri mercati alimentari, ricompresi nei 230mila punti vendita, nonché circa 330mila imprese che accomunano bar, ristoranti e imprese addetti alla ristorazione, sottolinea con preoccupazione la Coldiretti che richiede con urgenza la liquidità prevista dal Piano Marshall.

Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, ha affermato che anche se è vero che agricoltura, industria di trasformazione e distribuzione stanno tenendo duro, non si può negare che molte filiere siano in profonda crisi”, mettendo in evidenza le varie difficoltà del settore e la sua fragilità. Sostenere il ‘Made in Italy’ – apprezzato non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo per la qualità dei prodotti che vanno dalla pasta, riso, vino, ai salumi, formaggi, frutta e ortaggi e quant’altro – rappresenta una urgenza indifferibile se non si vuole rischiare il tracollo, non di un settore, ma del nostro Paese, considerato che, prima che intervenisse il famigerato Coronavirus, una fetta importante dell’economia derivava dai consumi alimentari, ivi compresi aperitivi, cene, pranzi e colazioni, come ci tiene a sottolineare la Coldiretti.

di Sergio Lanfranchi

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