La grande avventura nel magico bosco

Il bosco – con i suoi segreti e misteri – è stato, da sempre, al centro dei miei pensieri. Già da ragazzino, ascoltavo estasiato le favole che mi raccontava mia madre, di maghi, streghe, fate e folletti, tutti abitanti di boschi più o meno belli e tenebrosi. Quando facevo i capricci per mangiare la minestra, ella minacciava di chiamare l’“uomo nero” e io provavo una gran paura, immaginando che potesse provenire dal bosco. Qualche volta, dal balcone di casa, m’indicava un pacifico uomo tutto sporco di nero (il carbonaro) che tirava un carrettino pieno di carbonella fatta nel bosco e utile da usare per il braciere che, allora, sostituiva la moderna stufa o il termosifone, e che andava vendendo alle famiglie. Ragazzetto, quando mi era permesso, andavo a seguito di papà a caccia, ma l’itinerario però non erano mai il monte o il bosco – essi rappresentavano un pericolo e non erano affatto per le mie inesperte e giovani gambe –, bensì era d’uso percorrere le vie collinari o i prati, durante il passo primaverile delle quaglie. Eppure, di boschi a Messina e provincia ve ne sono tanti, sui Peloritani o sui Nebrodi, o Caronie, boschi magnifici di faggi, di querce e di roveri.

Bosco magico o fatato? Nei miei sogni di ragazzino, questo misterioso luogo rappresentava la grande avventura, l’incontro con personaggi ed animali strani, come l’orco nero, o pericoli e misteri tenebrosi nell’intrico di piante, spazi e praterie verdi luminose e fiorite, funghi colorati, castelli in cima alle colline e le casette dei nanetti nel fitto degli alberi tra i roveti. Oggi che sono adulto, incredibilmente colpito dal virus per l’amore per la natura e, nonostante le mie spedizioni venatorie tra novembre e dicembre, tra i policromi boschi di querce e faggi sui 1.500 metri di Monte Soro e di Passo Miraglia Femmina Morta, il “bosco magico” ancora mi aspetta dietro l’albero o al cespuglio di rovi, facendomi trasalire ad ogni rumore improvviso, durante il silenzioso avanzare, sul variopinto tappeto di foglie che madre natura stende in novembre per i miei passi da innamorato di bosco. Nel mio peregrinare, cerco “le regine” e le beccacce in solitudine, ovvero in compagnia di un amico, anzi amica per la vita, la mia cagnetta, un setter bianco e nero, di nome Dolly, che ama il bosco… forse più di me. Sghignazza la ghiandaia, la variopinta strega dalle cime del faggio, cattivo augurio per la “cumacca”, il gruppo che ogni anno va a rinnovare il rito della montagna. La “mavaria” di qualche strega impedisce d’incontrare le amate regine e le fa sparire al passaggio, quando anche il setter le sente: maledette cornacchie! Allora che fa il credulone? – (ma non sono il solo)!

Subito va a trovare la “zia Maria” che con l’acqua, l’olio e l’aglio, più un’indecifrabile cantilena ripetuta più volte, ti dà l’illusione di eliminare il malocchio. E mentre subisci il rito a lume di candela, Ennio, al culmine della cerimonia, ti mette in mano il becco di una regina, per migliorare la ricetta ed essere sicuri dell’efficacia. Eppure, io non credevo, ma Franco, che era addirittura soprannominato “scutra” (sfortunatissimo), quella volta che mi si era appiccicato dietro, sfatò il sortilegio. Si era al limitare del bosco, tra i faggi ed il sentiero innevato, godendo dell’aria fresca novembrina ed i colori dell’autunno, con i cani felici di correre a destra e manca, interessati dal porco nero che, improvvisamente, sfrascava dall’agrifoglio facendoci trasalire, ma la nostra presenza lo fece fuggire veloce e pauroso sfatando, così, la favola del terribile “orco nero”, che, invece, si rivelava un pacifico “porco” vivente (finché non lo cattura il porcaro), contento perché ha la sue ghiande e radici.

Mentre i passi leggeri e silenziosi ci facevano avanzare tra cespuglio e rovetto, a sinistra chioccola, sommessamente, il merlo fischiatore scappando radente il prato e dalla quercia sfarfallano via le gazze bianconere, gracchiando irate all’intruso e la tua immagine s’interessa al balenio fugace di madama volpe che ti incontra sul sentiero. Ed è allora che ti accorgi che il bosco è magico, anche se i sogni del ragazzo sono la realtà dei mille colori, delle mille luci, riflesse nelle gocce di brina, nei mille misteri del grigio della nebbia. I personaggi, tanto temuti ed amati, si materializzano in incontri con i pastori, e così gli armenti, la volpe, la cornacchia, i merli, le ghiandaie e le pazze gazze. Arriva proprio il momento, quando la fatica, la pioggia e il respiro affannoso della salita e dell’età proprio non verde, t’impongono la pausa, ed il setter, a lingua penzoloni, ti guarda curiosa ed interrogativa per ricordarti che la regina… la tua fata… la beccaccia ti ha mollato perché è andata via; quando pensi di ritornare e chiami i cani, ora spariti nel fitto dell’agrifoglio, allora incontri lo sguardo vitreo di Franco che si trova di fronte a te, come se fissasse un miraggio. Il tuo pensiero va all’idea dell’apparire di un incantesimo, ti volti e guardi, t’accorgi dell’ombra leggera della regina nell’aria luminosa sopra la testa e la cima del faggio, e resti imbambolato, poi il cacciatore Franco va a raccogliere contento, guardando e riguardando tra le mani quel pezzetto di bosco ed i suoi colori, felice di aver rinnovato il rito della montagna, l’emozione, che lo perseguita da anni e gli rimescola il sangue, ora come allora, con il cuore ancora in gola, per l’incontro con la regina del bosco.

di Armando Russo

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