La vitamina D e i fiori di Bach non servono ad alleviare i sintomi del Parkinson

La malattia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer, di cui si celebra domani, 30 novembre, la giornata nazionale. A ricordarlo, è la rubrica online anti fakenews ‘Dottore, ma è vero che…?’, a cura della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo). La malattia prende il nome dal medico inglese James Parkinson, che ne pubblicò la prima descrizione nel trattato An Essay on the Shaking Palsy del 1817. Ad oggi, non è stata ancora trovata una terapia in grado di arrestare lo sviluppo di questa malattia, tuttavia, esistono diversi trattamenti che possono controllarne i sintomi, migliorando la qualità di vita dei pazienti. Tra questi, alcuni siti online annoverano i fiori di Bach, una terapia alternativa che ritiene che tutte le malattie abbiano un’origine psicosomatica e che le essenze dei fiori possano influire sulla psiche umana. Ma prendendo in esame le revisioni sistematiche di studi in materia, su tutte quella del 2010 Edzard Ernst, non ci sono dubbi: l’efficacia dei fiori di Bach per il trattamento di qualunque condizione non è mai stata provata.

Alcune ricerche sembravano dimostrare, invece, un’azione della vitamina D sullo sviluppo del Parkinson: l’ipotesi era basata sul fatto che i pazienti che ne soffrivano tendevano ad avere bassi livelli di vitamina D rispetto a persone sane. Ma uno studio condotto dall’Università australiana di Adelaide e pubblicato su Nutritional Neuroscience, nel 2018, ha concluso che la vitamina D non ha benefici sulle malattie del cervello, come Parkinson e Alzheimer. (Ansa)

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